Scrivere di una vicenda come quella Telecom è complicato. Non solo per l'eco mediatica creata dalla storia, ma soprattutto per il messaggio culturale e sociale che una narrazione di questo tipo potrebbe suscitare ai presunti lettori.
Il primo ostacolo è sicuramente l'essere parte integrante della storia: un'apparizione televisiva piuttosto che un libro evocano subito diffidenza nell'interlocutore. Non c'è niente di più classico della comparsata di qualche personaggio coinvolto in una storia o storiaccia che dir si voglia.
Il secondo è che non sei un addetto ai lavori: se sei un giornalista puoi appellarti al diritto di cronaca e, nel senso comune delle cose, è comunque normale che ti sia occupato di scandali, ipotesi e teorie anche se campate per aria. Per gli altri ogni iniziativa è quasi sicuramente inesperta, limitata e anche fuori luogo.
Poi c'è il problema del coinvolgimento personale, che può facilmente trasformare il testo in una sorta di autodifesa personale contro le ingiurie e le ingiustizie subite. Perchè in queste condizioni un individuo può scrivere un libro solo per due motivi: per vantarsi di quello che ha fatto e urlare al mondo le proprie capacità, oppure per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e vendicarsi di delatori e traditori.
In realtà, pensandoci bene, il lettore medio ha ragione. Perchè spesso ho letto libri che rispettano schematicamente tutti i canoni precedentemente illustrati: opportunismo, inesperienza e interesse.
Con queste premesse poco incoraggianti ho buttato giù le prime idee. Era la primavera del 2007, un periodo che potrei definire "di passaggio": da una parte la vergogna di farti vedere anche al supermercato, dall'altra il rancore verso una storia che, indipendentemente da come si fossero svolti i fatti, tu non potrai mai accettare. Si è vero: se avessi seguito il sentimento avrei tirato fuori la solita battaglia personale. Inutile per una vicenda in cui a nessuno interessa chi è colpevole o meno. Perchè l'evento è accaduto, tu ci sei dentro, e la tua versione dei fatti è comunque una delle tante: opportunista, inesperta e interessata.
Poi con Andrea abbiamo iniziato a parlare d'altro: di un messaggio culturale, di un'avventura che si è svolta in un particolare contesto storico, di un concetto che aveva delle aspettative ed è giunto a determinate conclusioni.
Molti hanno riassunto queste impressioni all'interno del principio: "tanto lo facevano tutti". Secondo me questo spiega la necessità, ma non ne definisce l'origine del bisogno e la sua evoluzione nel tempo.
Ed è su questa traccia che abbiamo strutturato il testo sin dall'inizio.
Prima gli albori della sicurezza aziendale in Italia: le scelte e delle sfide affrontate rispettando vincoli e interessi di mercato e come la sicurezza si è evoluta verso il problema della reputazione e delle relazioni con il mondo istituzionale.
Poi la natura di uno scandalo che avrebbe potuto aver luogo in una qualsiasi altra realtà aziendale. Perchè lo scandalo da' corpo ad un'idea che in fondo hanno già tutti. E' come dimostrare che i produttori di Anti-virus sono essi stessi che programmano i virus in circolo.
E infine come mediaticità e prassi giudiziaria abbiano grossolanamente tagliato una realtà molto più complessa e articolata di quello che è stato raccontato, soprattutto sulle conclusioni della vicenda: perchè normalmente ci si aspetta un cambio epocale, o una lezione per tutti i giocatori che svolgono lo stesso mestiere. Perchè invece il bello di questa storia è che non è successo nulla.
Tutto è rimasto come prima.
Su tutto questo è stato quindi costruito un libro: da una parte i fatti, dall'altra i personaggi, e in mezzo una storia "fuori dalle righe". Una storia fatta di uomini e decisioni che potrebbe non avere nulla da invidiare a un romazo letterario. Una storia basata su un movimento collettivo che, nel suo insieme, risponde a regole più sensate e comprensibili del classico "tanto lo fanno tutti".
Magari alla fine prevarrà il solito problema dell'opportunismo, dell'inesperienza e dell'interesse personale. E forse è per questo che ho un po' anticipato la chiave di lettura di questo testo: quasi come chi racconta una barzelletta e poi non si trattiene dallo spiegare il perchè fa ridere.
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